Daniele Ruscigno
Sindaco
Comune di Valsamoggia
Presentazione
Questi luoghi li abbiamo battuti palmo a palmo. Il nostro territorio era la Valsamoggia. Ci muovevamo in piccoli gruppi o in comitiva. Prima in bicicletta, poi in motorino… chi aveva la fortuna di averlo… poi, quando qualcuno cominciò a prendere la patente, anche in macchina. E via via, sempre più lontano. Prima lungo il Samoggia e poi per le vie di traverso, chilometri e chilometri, perlustrando ogni piccola stradina… anche, banalmente, per vedere dove andava a finire… e quando diventammo più grandi frequentando i locali dei vari paesi… il Gatto e la Volpe a Fagnano, il Drago Verde a Castelletto, il bar della piazza a Bazzano. Ma l’avventura più bella fu quando, a 12 anni, attraversai con la bicicletta tutta la valle e arrivai fino a Savigno… A mia madre avevo detto che sarei andato al Centro Sportivo e invece ero arrivato fino ai confini del “regno”…
Daniele Ruscigno nasce a Bologna il 26 luglio 1974. Fino all’età di dieci anni vive a Zola Predosa e arriva a Monteveglio a metà degli anni Ottanta.
La famiglia materna è originaria dell’Appennino, scesa, in parte, dalle zone devastate dall’occupazione tedesca, prima, e dai bombardamenti, poi.
“Mia nonna e i suoi genitori arrivarono da Pianoro in tempo di guerra. Si ritrovarono a Zola casualmente, dopo aver perso tutto, e andarono ad abitare prima in alcune case abbandonate, insieme ad altre famiglie sfollate, e poi negli alloggi disponibili in quel Comune. Mio nonno, invece, veniva da Ciano di Zocca, da dove se ne era andato, ugualmente, in tempo di guerra”.
Il padre è originario di Irsina, un piccolo paese in provincia di Matera, dal quale arriva a Zola Predosa insieme alla famiglia, che cerca lavoro e una prospettiva di vita migliore.
“Mio padre aveva circa dieci anni quando arrivò a Zola. Cominciò a lavorare come garzone in una serie di officine meccaniche, facendo manovalanza, fino a quando, insieme con i suoi due fratelli, riuscì ad aprire un’autocarrozzeria. Era il 1984, l’officina era a Monteveglio, e quello fu il motivo del nostro trasferimento da Zola”.
Quando Daniele nasce, i genitori sono molto giovani (“mio padre aveva diciannove anni e mia mamma ventidue”), lavorano molto, con turni e orari che si conciliano a fatica con la gestione familiare, e la nonna materna diventa un punto di riferimento fondamentale.
“Mia nonna allora lavorava da Maccaferri, faceva le reti di metallo, che ancora si piegavano a mano, con le pinze… ha lavorato lì tutta la vita, oltre ad accudire me e mio fratello… Cercava sempre di fare il turno che si combinasse con quello di mia madre, per poterla aiutare. È stata ed è una persona molto importante per me”.
Quella della famiglia di Daniele è una storia comune a quella di molti altri nuclei dell’Italia di quegli anni, fatta di riscatto, di sana voglia di soddisfazione, di consapevolezza che il benessere si costruisce passo dopo passo, investendo su se stessi, senza scavalcare gli altri. È un’idea del mondo ancora positiva, nella quale c’è spazio e possibilità di crescere per tutti. Il lavoro è uno strumento reale di emancipazione, una palestra che consolida il carattere e chiarisce gli obiettivi. Una scuola, la cui lezione trasferisce significati e valori anche a chi la vive indirettamente.
“Da mia nonna e da mio padre ho preso la tenacia e la perseveranza nel raggiungimento di un obiettivo. E anche la consapevolezza che nessuno ti regala niente, che devi lavorare sodo se vuoi arrivare da qualche parte. Mia nonna ha cominciato a lavorare giovanissima, prima della guerra. Lavorava nelle case dei padroni. Si prendeva da Pianoro da sola il lunedì mattina e tornava a casa la domenica. E mio babbo, quando per qualche estate, mentre facevo le Superiori, sono andato a lavorare da lui, mi ha sempre fatto fare prima i lavori più monotoni… per insegnarmi che le 5mila lire che guadagnavi erano sudate un bel po’. Ma sia mio padre, che mia nonna, hanno sempre apprezzato tutti i risultati che hanno raggiunto… e questo senso di soddisfazione, che viene dalla fatica e dalla conquista, e che non è mai scontato, lo sento anche un po’ mio. Mia mamma mi ha insegnato un grande rispetto per gli altri e l’onestà. Mi ricordo un episodio, in particolare. Quando eravamo venuti ad abitare qui a Monteveglio, la domenica il babbo e la mamma mandavano me e mio fratello a prendere il gelato al bar della piazza. Una volta arrivai a casa con 200 lire di resto in più. Il barista si era sbagliato e io non ci avevo fatto caso. Ma mia mamma si arrabbiò con me per il fatto che non avevo controllato bene e non ci fece mangiare il gelato finché non fui andato a restituire al barista quelle 200 lire”.
Monteveglio è anche, per Daniele, il luogo delle amicizie più importanti. Quando si trasferisce da Zola Predosa va ad abitare in una nuova lottizzazione, dove arrivano contemporaneamente altri ragazzi della sua età.
“È stato tutto abbastanza semplice. Venivamo tutti da altri paesi… da Casalecchio, da Zola e da Crespellano… eravamo vicini di casa… ci siamo mescolati con gli altri ragazzi del paese frequentando la scuola media e ci siamo integrati andando al Centro Sportivo. L’amicizia occupa uno dei primi posti nella mia scala di valori. Avere degli amici aiuta molto, soprattutto nei momenti di crisi… Ci sono delle fasi della vita nelle quali con i genitori il rapporto diventa difficile e se hai un gruppetto che ti sostiene, cresci sicuramente meglio”.
Con gli amici Daniele vive anche le prime importanti esperienze di scoperta del territorio.
“Questi luoghi li abbiamo battuti palmo a palmo. Il nostro territorio era la Valsamoggia. Ci muovevamo in piccoli gruppi o in comitiva. Prima in bicicletta, poi in motorino… chi aveva la fortuna di averlo… poi, quando qualcuno cominciò a prendere la patente, anche in macchina. E via via, sempre più lontano. Prima lungo il Samoggia e poi per le vie di traverso, chilometri e chilometri, perlustrando ogni piccola stradina… anche, banalmente, per vedere dove andava a finire… e quando diventammo più grandi frequentando i locali dei vari paesi… il Gatto e la Volpe a Fagnano, il Drago Verde a Castelletto, il bar della piazza a Bazzano. Ma l’avventura più bella fu quando, a 12 anni, attraversai con la bicicletta tutta la valle e arrivai fino a Savigno… A mia madre avevo detto che sarei andato al Centro Sportivo e invece ero arrivato fino ai confini del ‘regno’…”.
Oltre il ‘regno’, il mondo si apre a Daniele con l’iscrizione alla Scuola Superiore. “Quando, in prima, un professore ci chiese dove eravamo stati in vacanza, e un mio compagno disse: ‘a Savigno’… dissi subito: ‘a Savigno? Ma io lì vicino ci vivo…’. Non avevo pensato che potesse essere un luogo di vacanza… era qualcosa che sentivo come se fosse casa mia e il mondo era Bologna, le cui porte mi si erano appena aperte davanti. Il più vasto mondo poi mi ha sempre affascinato molto. Sono sempre stato molto curioso. Quando ho avuto possibilità di fare qualche viaggio, l’ho fatto. Quello che mi piace di più del viaggiare è cercare di capire cosa fanno gli altri… mi ricordo di foto assurde, che ho fatto solo per poi mostrare a casa come si fanno le cose negli altri paesi… Una pista ciclabile in Spagna, delimitata solo da una riga disegnata per terra, o un’illuminazione natalizia a Parigi, fatta con le bottiglie di plastica riciclate… In generale penso che qua in Italia ci guardiamo troppo la punta dei piedi e che viaggiare è un buon modo per imparare a guardare più lontano”.
Scuola materna e scuole elementari a Zola Predosa, presso le suore della Beata Vergine di Lourdes, medie prima a Zola (la prima) poi a Bazzano (la seconda e la terza), Istituto Tecnico Elettronico Sperimentale all’Odone Belluzzi di Bologna. Sempre a Bologna, quattro anni di Ingegneria Elettronica… abbandonata per sopravvenuti impegni di lavoro.
“Quello dell’Università era un mondo decisamente poco familiare. Ho sputato sangue per fare quei quattro anni. Mi aspettavo di andare a fare delle cose belle, e invece era tutto matematica. È stato un rimpallo molto forte. Quelli dello Scientifico avevano metodi di studio e conoscenze teoriche più forti e noi del Tecnico, pur avendo formazione e passione, facevamo una gran fatica. Ho fatto l’errore di fare subito tutti gli esami di informatica e di lasciare indietro quelli di matematica… Al quarto anno, ho svolto il mio anno di Servizio Civile e successivamente, quando mi è stata fatta una proposta di lavoro importante, non ci ho pensato due volte e, pur con rammarico, ho lasciato gli studi”.
Il percorso lavorativo di Daniele comincia durante l’estate, nell’officina del padre.
“L’officina era divisa in due parti, in una si facevano i lavori di carrozzeria, nell’altra c’era un mio zio che faceva il saldatore. A quattordici anni mio padre mi fece fare il mio primo libretto di lavoro, mi mise in regola e mi affiancò a mio zio. Non era il lavoro gratificante del carrozzaio, ma un lavoro ripetitivo e noioso. Dovevi infilare dei pezzi di metallo sotto una macchina, oppure allargare dei buchi con un trapano… c’era un gran caldo e una puzza d’olio tremenda. È a quel momento che mi sono messo di buona lena a studiare. Non che andassi male, ma è stato un incentivo ulteriore per capire che nella vita volevo fare qualcosa dove ci fosse da metterci del mio”.
La volontà di “metterci del mio”, insieme alla passione per l’elettronica, fa ben presto di Daniele uno “smanettatore” di comprovata esperienza.
“Mi chiamavano per fare piccoli lavoretti di assemblaggio computer, montaggio di autoradio, riparazione di consolle per videogiochi… che mi fruttava qualche soldo… e poi è diventato qualcosa di più importante. Alla fine ho aperto una Partita IVA e ho cominciato a lavorare sul serio”.
Nel 2001 Daniele comincia a lavorare come consulente informatico, prima per alcune aziende private e poi per le pubbliche amministrazioni dei Comuni della Valsamoggia, primo fra tutti Monteveglio, per il quale cura la progettazione della nuova rete informatica e tutta la riconfigurazione hardware, e poi per l’Unione dei Comuni Valle del Samoggia, per la quale collabora alla realizzazione di un progetto di sviluppo telematico, prima come figura tecnica, poi come Responsabile del Centro Elaborazione Dati, poi come referente del Servizio Associato Informatico e Statistico (SAIS). È in questo passaggio che Daniele trasforma la sua Partita IVA in azienda affiancando al lavoro di consulenza informatica quello di commercializzazione di hardware.
“Dal 2000 al 2009 ho vissuto tutte le fasi dello sviluppo informatico del nostro territorio… per fare un esempio… il passaggio dal protocollo con il librone e la biro al certificato online degli ultimi anni… Non mi sono accorto che stava passando il tempo. Di email ce n’era una per Comune, di server pure. È stata una vera e propria alfabetizzazione digitale”.
Il percorso politico comincia in quegli stessi anni e senza premeditazione.
“Mi divertivo moltissimo a fare il mio lavoro. Ero arrivato all’apice di tutto il Servizio. Interagivo con la Provincia e la Regione, potevo proporre progetti… e invece è arrivato questo ‘imprevisto’… se ti devo dire come è successo, in modo preciso, non te lo so dire… il senso è che, io e altri ragazzi di Monteveglio, abbiamo deciso di dare il nostro contributo alla nascita del nuovo Partito Democratico. Ripensandoci penso che abbiamo colto l’ossigeno che si è liberato in quel momento storico. Eravamo ragazzi che si erano sempre impegnati nelle associazioni del paese e in quel momento pensammo che forse avremmo potuto fare qualcos’altro. Io ero membro del consiglio direttivo dei DS dal 2007, tra la fine di quell’anno e quello successivo avevo coperto la vacanza del segretario precedente e mi candidai per l’elezione a segretario. Fui votato all’unanimità insieme al Consiglio da me proposto. Era il febbraio del 2008. Dopo poco, in vista delle elezioni che si sarebbero tenute a giugno 2009, arrivò dagli attivisti, a me e agli altri ragazzi del gruppo, la richiesta di candidarci. Accettai e mi dimisi da segretario. Ci furono anche delle primarie, ma nessuno propose una candidatura alternativa e l’assemblea degli iscritti ratificò la mia candidatura a capo di una lista civica sostenuta da Partito Democratico, Italia dei Valori e una serie di componenti della società civile. Mi buttai a capofitto nella campagna elettorale, che fu un’avventura per certi aspetti anche molto divertente perché cercammo di costruire il programma in modo partecipato, attraverso una serie di ‘world cafè’, convocati nei luoghi più disparati. Le elezioni andarono molto bene e ci ritrovammo con un Consiglio rinnovato per dieci undicesimi, con un’età media sui trentacinque anni e rispettoso della parità di genere”.
Sindaco di Monteveglio dal 2009 al 2013 dedica molto del suo impegno al progetto di fusione dei cinque Comuni della Valsamoggia, facendosi promotore, insieme ai Sindaci Augusto Casini Ropa (Savigno), Alfredo Parini (Crespellano), Elio Rigillo (Bazzano) e Milena Zanna (Castello di Serravalle), di un rinnovo amministrativo ispirato a criteri di semplificazione, innovazione e partecipazione civica.
Presentantosi alle primarie del Partito Democratico per l’elezione a Sindaco di Valsamoggia, risulta il più votato, e candidato alle elezioni amministrative con il sostegno di due liste civiche e due liste di partito (Partito Democratico e Rifondazione Comunista), raccoglie oltre il 58% di preferenze, vincendo al primo turno.
È la conferma del ruolo di principale portavoce politico di questa scommessa e il riconoscimento di un mandato del tutto inedito.
“Una strada nuova da percorrere sui vecchi sentieri dei valori che da sempre contraddistinguono le donne e gli uomini della nostra vallata. Valori di laboriosità, di solidarietà, di impegno… e voglia di superare i punti di vista particolari per beneficiare di una visione più ampia… per catturare le tante opportunità che sarebbe stato impossibile cogliere divisi… frammentati in piccole fazioni, o, ancora peggio, giocando in difesa… cavalcando piccoli interessi di bottega, senza guardare all’interesse collettivo. Una strada da percorrere con quel coraggio e quello spirito di servizio più che mai necessari in un momento storico in cui l’errore più grande è restare fermi, passivi, delegando ad altri la responsabilità di trovare le risposte necessarie per consentire a tutti noi cittadini di tornare a costruire il futuro”.
Sul fronte dell’impegno sociale Daniele è attivo fin da molto giovane in diverse associazioni del territorio. Dal 1989 al 1991 è membro del gruppo tennis (“sono gli anni, tra l’altro, nei quali si faceva la raccolta fondi per la copertura in legno del campo in terra rossa, che per Monteveglio fu un evento”). Nel 1994 entra a far parte del Valle Samoggia, primo embrione della società calcistica sovracomunale che diventerà il Val.Sa. nel quale resta attivo fino al 1999. Dal 2000 al 2004 è Presidente della Proloco.
Attualmente Daniele vive a Monteveglio, con la compagna, un gatto e un cane.
Autovalutazione
Di leadership me ne riconosco in modo sufficiente per essere un po’ il capitano di una squadra, che però ha bisogno del meglio di tutti. Il capitano non è necessariamente il migliore, ma quello che cerca di tirare fuori le qualità di ognuno e di fare sintesi delle esigenze di tutti coloro che rappresenta, per proiettarle più in là del giorno dopo.
Quanto senti politicamente di riuscire a mantenere e consolidare relazioni?
“Sono soddisfatto delle capacità relazionali che sono riuscito a mettere in campo. Penso che chi aspira a ruoli come questo debba avere tra le sue principali caratteristiche una grande disponibilità all’ascolto, il che implica ovviamente impiegare tanto tempo. Per questo ho voluto fare il primo ricevimento pubblico da Sindaco di Valsamoggia in Piazza, durante il mercato principale della vallata, 'trasferendo l’ufficio' in mezzo alla gente, come anche il primo Consiglio Comunale, svolto nella Piazza di Bazzano, al quale hanno partecipato tantissimi cittadini. Il mio impegno è quello di ridurre la distanza tra le istituzioni e la popolazione per ridare a tutti la fiducia e la speranza di potere contare e di potere cambiare le cose”.
Quanto senti politicamente di riuscire a gestire conflitti?
“Insieme ai miei collaboratori, penso di essere riuscito ad affrontare molte situazioni difficili e a risolvere conflitti che si trascinavano da diversi anni. Mi riferisco innanzitutto alla normalità delle situazioni con le quali un’amministrazione locale si trova a dover fare i conti… dai diverbi su una fognatura o sull’asfaltatura di una strada a questioni di proprietà e di confini… e mi riferisco sia ai conflitti tra cittadini e amministrazione sia ai conflitti tra vicini. In certi casi quello del Sindaco è un ruolo risolutore, in altri un ruolo mediatore. La gente si rivolge al Sindaco come a una specie di padre di famiglia della comunità. A volte mi sono prestato a fare incontri che non c’entravano nulla con il mio mandato e con le mie competenze… ma la gente cerca nel Sindaco questa figura super partes e sono stato molto soddisfatto quando siamo riusciti a sbloccare delle situazioni che sembravano senza soluzione”.
Quanto senti politicamente di riuscire a comunicare?
“Penso che la capacità di comunicare dipenda da quanto si crede in quello che si racconta, da quanto è forte la convinzione che le idee, i progetti e le azioni che si vorrebbero portare alla cittadinanza siano delle opportunità reali, un vantaggio per i tuoi cittadini. Penso di essere riuscito a comunicare efficacemente tutte le volte che ho sposato un’idea fino in fondo.
Quando le cose non mi convincono utilizzo nella comunicazione il metodo più semplice del mondo: quello di dire la verità. Mi è capitato di non condividere certe azioni, alle quali però abbiamo dovuto dare seguito. In questi casi ho cercato di dire con chiarezza perché non potevamo fare altro che così… mi è capitato di ammettere che non avevamo trovato altre soluzioni… che per certi aspetti è un po’ una sconfitta… ma poi ho notato che la comunicazione ha funzionato lo stesso… È stato come se la gente mi avesse sentito più umano, uno che riconosce che è impossibile fare bene tutte le cose e che a volte è meglio sbagliare piuttosto che non fare nulla”.
Quanto senti politicamente di riuscire a risolvere problemi?
“Siamo in una fase storica nella quale di problemi ce ne sono tanti. Tendenzialmente mi piacerebbe poter risolvere i problemi di tutti, e quindi sono insoddisfatto, ma credo anche, per gli strumenti che attualmente ho a disposizione, di aver dato il maggior numero di riposte possibili”.
Quanto peso politico senti di avere?
“Quello di Sindaco è un ruolo significativo. La cittadinanza ti percepisce come una figura, al tempo stesso, rilevante e vicina, e questo implica una maggiore responsabilità, sia quando fai delle considerazioni, sia quando prendi la parola. Per questo penso che il fatto di essere Sindaco ha in sé una potenzialità di incidenza molto più forte del livello più astratto della Provincia o della Regione”.
Quanta leadership senti di avere?
“Di leadership me ne riconosco in modo sufficiente per essere un po’ il capitano di una squadra, che però ha bisogno del meglio di tutti. Il capitano non è necessariamente il migliore, ma quello che cerca di tirare fuori le qualità di ognuno e di fare sintesi delle esigenze di tutti coloro che rappresenta, per proiettarle più in là del giorno dopo”.Riflessione
Sussidiarietà è la capacità di valorizzare il più possibile le singole realtà territoriali, le diverse comunità locali, le specificità di tutti i soggetti che possono contribuire allo sviluppo di un progetto.
Qual è la tua idea di sovracomunalità?
“Sovracomunalità è avere un’idea di governo del territorio che superi i confini geografici dei singoli Comuni e che miri a creare Servizi per una comunità oggettivamente allargata”.
Qual è la tua idea di sussidiarietà?
“Sussidiarietà è la capacità di valorizzare il più possibile le singole realtà territoriali, le diverse comunità locali, le specificità di tutti i soggetti che possono contribuire allo sviluppo di un progetto”.
Qual è la tua idea di solidarietà?
“Sono solidale quando do qualcosa di mio perché tu ti possa emancipare. È la disponibilità a impiegare le proprie risorse, economiche e umane, per favorire la crescita di qualcuno, che ne ha meno, o è in un momento di difficoltà”.
Qual è la tua idea di omogeneità?
“Omogeneità è dare l’opportunità a tutti i territori, e a tutti i livelli della comunità, delle stesse occasioni, degli stessi Servizi. Significa essere tutti pari ai blocchi di partenza”.
Qual è la tua idea di condivisione/differenziazione?
“Sicuramente vanno condivise le politiche generali… è importante che siamo tutti d’accordo sull’obiettivo che vogliamo darci… L’unitarietà di intenti poi non è in contraddizione con la capacità di contestualizzare le singole azioni, di declinarle nel particolare di ogni singolo territorio e di ogni singolo caso”.
Quanto senti significative e incisive le Politiche di Pari Opportunità all’interno di ASC InSieme?
“Credo che le Politiche di Pari Opportunità abbiano un’importanza significativa all’interno di ASC. È altrettanto vero però che sarebbe necessario un investimento maggiore perché, oltre ad avere un valore intrinseco, relativo alla qualità della vita della comunità, contribuiscono alla prevenzione dei problemi che vogliamo risolvere”.